Tema:

(Relatore: Armando Angeli)

 

 

IL TERZO SCIMPANZE’

Sommario :

INTRODUZIONE

OMINIDI E PONGIDI

ASPETTO FISICO

COSCIENZA DI SE’

CAPACITA’ DI FABBRICARE STRUMENTI

CAPACITA’ DI RISOLVERE I PROBLEMI

MEMORIA A BREVE TERMINE

IL LINGUAGGIO

RIFLESSIONI BIOETICHE

 

INTRODUZIONE

La prossima volta che visiterete un moderno parco zoo, ricordatevi di passare davanti alle gabbie delle grandi scimmie e fermatevi a guardare quella degli scimpanzé.

Immaginate per un attimo che essi abbiano perso gran parte del loro pelo e considerate in tal modo quanto ci assomiglino dal punto di vista fisico e comportamentale.

Ora provate a indovinare quanto questi scimpanzé siano simili a noi anche dal punto di vista genetico.

Sapete che essi condividono con gli umani il 98,4% del loro DNA, cioè che differiscono da noi per il solo 1,6% dei loro geni?

E sapete, inoltre, che risulta che gli scimpanzé attuali, e in particolare la specie pigmea chiamata “bonobo”, si trova evolutivamente appena un gradino più in basso rispetto all’Homo habilis, ominide comparso oltre 3 milioni di anni fa e considerato il capostipite del genere umano?

Riflettiamo allora un attimo sulle implicazioni di questi due importanti accostamenti.

Se l’Homo habilis era geneticamente simile agli scimpanzé attuali non si vede il motivo per collocare questi ultimi, anziché nel genere Homo, nel genere Pan coniato per loro: Pan Troglodytes per lo scimpanzé comune e Pan Paniscus per lo scimpanzé pigmeo.

Mi domando, a questo punto, che cosa provereste davanti alla gabbia dello zoo di cui vi parlavo prima se il cartellino di identificazione recasse la scritta “Homo Troglodytes” o “Homo Paniscus”.

Dovreste chiedervi allora perché questi esseri proto-umani, così potremmo chiamarli, vengano esposti in gabbia e perché altri vengano utilizzati per esperimenti medici di ogni tipo, vista la loro somiglianza genetica con gli uomini, mentre non è permesso fare né l’una né l’altra cosa con gli esseri umani.

Qualcuno potrebbe rispondere che gli scimpanzé sono scimmie, cioè animali, mentre gli uomini sono uomini e che questo è sufficiente.

Un codice etico che regoli il trattamento degli umani non dovrebbe essere esteso a delle scimmie, indipendentemente dalla quantità di geni che esse condividono con noi e dalla loro capacità di avere relazioni sociali avanzate, di provare gioia, dolore, paura, cioè comportamenti e sentimenti razionali del tutto simili ai nostri.

In fin dei conti loro penzolano ancora dagli alberi e noi navighiamo in internet e siamo andati sulla luna.

Quei pochi geni che ci separano ci pongono a una distanza abissale gli uni dagli altri.

Ma è proprio così?

O il nostro codice etico, condizionato dai pregressi preconcetti etologici, ha  eretto una barriera fittizia tra l’uomo e la scimmia-uomo, lo scimpanzé?

Essa non sarà per caso il risultato dell’arrogante supposizione che noi umani siamo superiori sotto ogni aspetto a quelli che classifichiamo come scimmie antropomorfe, da cui per altro discendiamo?

Allora vediamo se esiste davvero questa barriera, riflettendo sui risultati delle più recenti ricerche condotte da qualificate equipes di biologi, etologi e tassonomisti.

Esse dimostrano come gli scimpanzé siano molto più vicini a noi di quanto possiamo immaginare in una molteplicità congiunta di capacità e di comportamenti razionali, ben più complessa di quella presente in qualsiasi altro animale da noi definito come “intelligente”.

 

 

Per prima cosa chiariamo la posizione tassonomica degli scimpanzé in relazione alle altre grandi scimmie antropomorfe e all’uomo.

Gli uomini e le antropomorfe appartengono rispettivamente alla famiglia degli Ominidi e a quella dei Pongidi.

I pongidi si sono separati dagli ominidi nell’arco degli ultimi 10 milioni di anni, cioè in tempi geologicamente recentissimi.

 

I primi a separarsi, appunto 10 milioni di anni fa, sono stati gli oranghi, che vivono solo in Asia.

Non ci assomigliano molto, ma condividono con noi il 96,4 % del DNA.

 

 

Seguirono, 8 milioni di anni fa, i gorilla, abitanti della foresta pluviale africana.

Sono i più grandi primati della terra e possono sembrare violenti, ma sono dei pacifici vegetariani che condividono con noi il 97,7 % del DNA.

 

 

Infine, 5 milioni di anni fa, si separarono gli scimpanzé, il cui DNA, come detto, differisce dal nostro per il solo 1,6 %.

 

 

Esistono due specie di scimpanzé:

·       gli scimpanzé comuni, di taglia maggiore, che abitano le foreste dell’Africa equatoriale;

·        gli scimpanzé pigmei, chiamati anche “bonobo”, di taglia più piccola, che popolano una ristretta area delle foreste del Congo.

Questi ultimi presentano attitudini e capacità anche più evolute rispetto ai primi,  forse per la maggior pressione dell’ambiente in cui vivono.

Alcuni tassonomisti li considerano una sottospecie degli scimpanzè comuni, che si è separata da questi circa 3 milioni di anni fa, cioè nello stesso periodo in cui è comparso l’ Homo habilis.

L’accostamento all’Homo habilis è estremamente pertinente.

 

Infatti, questi scimpanzè, quando camminano eretti, e lo fanno usualmente, appaiono del tutto simili alle rappresentazioni che ci vengono fatte dei nostri antichi progenitori.

 

Le due specie di scimpanzè, comunque, devono considerarsi allo stesso livello intellettuale e comportamentale.

Analizziamone alcuni aspetti salienti, sorvolando per brevità su altri anch’essi significativi, come gli atteggiamenti sociali, la capacità di cooperazione, ecc., già noti e ampiamente documentati.

 

 

Volendo iniziare dall’aspetto fisico, non vi è dubbio che gli scimpanzé si avvicinino alla morfologia fisica e alle sembianze umane più di ogni altro essere vivente.

L’espressione e l’intensità dei loro occhi marroni suscitano certamente in noi sensazioni ancestrali.

È vero, sono pelosi, ...

 ... ma badate bene, hanno la stessa nostra densità dei peli (circa 500 per cmq), solo che i nostri sono molto più corti e sottili.

 

Uno scimpanzé con poco pelo presenta una fisionomia umanoide sconvolgente.

 

Nel grembo materno un feto di cinque mesi di bonobo è assai simile ad uno umano.

 

 

 

Si dice solitamente che l’autoriconoscimento costituisca il mattone fondamentale della società umana.

Dalla coscienza di sé deriva la coscienza di gruppo.

 

Esistiamo come individui con le nostre peculiarità, ma è essenziale per la nostra esistenza riconoscere negli altri caratteri simili ai nostri, distinguendo gli amici dai nemici e permettendoci così di vivere in grandi comunità.

 

Adottando il metodo del “mark test”, che consiste nell’individuazione di fronte a uno specchio di un segno di colore apposto sul viso, si è constatato che già a due anni un bambino si autoriconosce.

 

Nessun altro animale è in grado di farlo se non le scimmie antropomorfe, che guardandosi allo specchio capiscono che l’immagine riflessa è il loro corpo, dimostrando di avere il concetto di “sé corporeo”.

 

Ma gli scimpanzè, oltre ad autoriconoscersi, sanno sfruttare le opportunità fornite dalla propria immagine riflessa.

 

 

 

 

Per lungo tempo l’umanità è stata identificata con la capacità di costruire utensili.

Si diceva che fossimo la sola specie in grado di fabbricarli, pianificandone l’uso e lo sviluppo e permettendoci così di passare da un manufatto di pietra ...  

 

... alle conquiste tecnologiche più avanzate.

 

Abbiamo poi scoperto che diversi animali utilizzano strumenti naturali come pietre e stecchi per procurarsi il cibo; si tratta comunque di attività in cui il concetto pianificatorio è totalmente assente.

 

Per quanto riguarda gli scimpanzè, gli etologi sapevano già che essi adattano bastoni per prelevare le termiti e il miele; ...

 

... che scelgono incudini di forma opportuna per schiacciare le noci e i semi, ma non era ancora nota la loro capacità di costruire strumenti diversi per raggiungere lo stesso obbiettivo, pianificandone l’uso nel tempo.

 

Le recenti ricerche sul campo hanno fornito risultati inaspettati, dimostrando che le nostre conoscenze in proposito sono ancora estremamente scarse.

Un’equipe di ricercatori americani si è spinta nelle foreste del Congo per studiare le attività strumentali dei bonobo.

In prossimità di alcuni termitai  frequentati dagli scimpanzè hanno raccolto due tipi di bastoni:

uno robusto ...

... e uno più sottile con un’estremità foggiata a spazzola.

 

Alcune telecamere posizionate in loco hanno mostrato che gli scimpanzè arrivavano sui termitai portandosi questi strumenti già fatti.

 

Con i primi bucavano le pareti del termitaio; ...

 

... infilavano poi nei fori i bastoni a spazzola le cui estremità sottili venivano morse dalle termiti guardiane che, restando impigliate, potevano essere estratte in gran numero.

 

Questa strumentazione è stata sperimentata dai ricercatori, dimostrandosi geniale.

Un bastoncino viene sfrangiato a spazzola con i denti.

 

 

Con il bastone più robusto si buca il termitaio.

 

Viene introdotta infine la spazzola per recuperare le termiti.

 

 

Si tratta di una metodologia che dimostra un’elevata capacità di pianificare l’utilizzo multiplo degli strumenti per lo stesso scopo, del tutto simile a quella sviluppata in altri campi dai nostri progenitori.    

 

 

 

E veniamo ora alle capacità intellettive degli scimpanzé che si avvicinano a quelle umane di un bambino di 3-4 anni, in qualche caso anche di età superiore.

 

Per testare la capacità creativa necessaria alla risoluzione di un problema, i ricercatori hanno fatto cimentare dei bambini e degli scimpanzé in un esperimento che né gli uni né gli altri avevano affrontato prima.

In una provetta è stata inserita una nocciolina galleggiante su poca acqua, ma irraggiungibile con le dita.

Per il test dei bambini la provetta era stata fissata rigidamente su un tavolo.

Veniva chiesto di trovare il modo per estrarla utilizzando i mezzi disponibili nella stanza.

Un po’ in disparte era disposta una brocca piena d’acqua.

La generalità dei bambini fino all’età di 6 anni non ha correlato la brocca con la possibilità di versare l’acqua nella provetta per sollevare la nocciolina.

 

Solo i bambini di 7-8 anni sono stati in grado di effettuare quest’associazione.

 

Per gli scimpanzè, la provetta è stata fissata su una grata, presentante lateralmente un abbeveratoio.

 

La generalità non solo degli scimpanzè ma anche degli oranghi ha risolto immediatamente il problema versando nella provetta dell’acqua prelevata con la bocca dall’abbeveratoio.

 

Ma guardate cosa ha fatto invece uno scimpanzé evidentemente non schizzinoso.

 

Certo, gli scimpanzè sono motivati assai più dei bambini per procurarsi il cibo, ma ciò non toglie che la loro capacità creativa risulti estremamente avanzata.

 

 

 

Voi sapete che la memoria visiva di Pico della Mirandola era prodigiosa e ineguagliabile.

Beh, non lo potete immaginare, ma la memoria di uno scimpanzé è allo stesso livello se non superiore.

Ciò è stato dimostrato attuando un semplice esperimento con degli scimpanzé a cui era stato insegnato a leggere i numeri da 1 a 9.

Davanti a uno schermo touch-screen recante i numeri da 1 a 9 disposti casualmente, lo scimpanzé deve spegnere in sequenza i numeri toccandoli.

Ma quando tocca l’1, tutti gli altri numeri si spengono lasciando solo le caselle corrispondenti.

In mezzo secondo la quasi totalità degli scimpanzé ha memorizzato la posizione dei numeri, spegnendoli rapidamente in esatta sequenza.

 

Rivediamo le immagini; provate a memorizzare.

 

Questa prova non è mai stata superata né da uomini adulti né da giovani.

I bambini di 8-9 anni hanno però fatto meglio degli altri, dopo aver per altro studiato a lungo le posizioni dei numeri.

 

È certo che la prodigiosa memoria visiva degli scimpanzé si sia sviluppata per aiutarli a sopravvivere in un ambiente complesso come la foresta, consentendo loro di memorizzare istantaneamente l’ambiente che li circonda.

 

 

 

Lo sviluppo del linguaggio   ha costituito una delle pietre miliari dell’evoluzione umana.

L’uomo moderno ha un vocabolario di circa 60.000 parole e con quelle è in grado di comporre un numero praticamente infinito di frasi.

Ma come voi sapete, questa capacità linguistica si è pienamente sviluppata in tempi abbastanza recenti della storia evolutiva della nostra specie.

I paletnologi ritengono che risalga a non più di 200.000 anni fa, con la comparsa dell'Homo sapiens.

 

 

Gli scimpanzè non sanno parlare in quanto il loro apparato fonetico non permette un linguaggio articolato per la particolare posizione della laringe; ciò ha inibito la possibilità di una evoluzione genetica che favorisse lo sviluppo della parola.

 

Su questo argomento non possiamo soffermarci per brevità.

È stato tuttavia accertato che gli scimpanzè possiedono notevoli potenzialità linguistiche.

Lo studio del loro frasario ha permesso di individuare 30 tipi di vocalizzazioni, per comunicare tutti i concetti compiuti di cui hanno bisogno.

 

 

 

D’altro canto, uno scimpanzé opportunamente istruito impara rapidamente il linguaggio dei segni e capisce moltissime delle nostre parole.

 

 

In una mia relazione sulle origini del linguaggio tenuta qui nel 1995 vi avevo parlato di uno scimpanzé bonobo, di nome Kanzi, dalle capacità straordinarie di comprensione del nostro linguaggio.

 

Kanzi ha attualmente 20 anni e ha incrementato ulteriormente il suo apprendimento.

Capisce 2.000 parole e tramite un computer a lessigrammi, simboli associati a parole, che produce un linguaggio artificiale, è in grado di dialogare con i ricercatori.

Inoltre ha inventato regole grammaticali che possono ritenersi complesse come quelle usate da un bambino di 3 anni.

Secondo i suoi istruttori siamo di fronte a ciò che si ritiene essere il substrato profondo del proto-idioma umano.

 

 

 

Terminata questa rassegna sulle capacità intellettive, sull’inventiva, sulla coscienza di sé e sulle potenzialità linguistiche degli scimpanzè,  è necessario che ci poniamo una domanda:

Il termine “quasi-persona” è un neologismo che si riferisce a un tipo di status morale e giuridico inferiore a quello delle “persone” in senso pieno, ma superiore a quello di ogni altro animale.

 Per rispondere, dobbiamo innanzitutto ammettere che per molto tempo abbiamo tracciato una linea di separazione con questi esseri.

Ma alla base della definizione del “diverso” come “altro” sta quasi sempre l’ignoranza.

Dal momento che in Occidente non vivevano e non erano conosciuti rappresentanti di questa specie, abbiamo ignorato la nostra eredità di primati, mentre le culture dei popoli che normalmente sono in contatto con l’una o l’altra delle grandi scimmie hanno prodotto visioni del mondo completamente diverse.

Per esempio,l’espressione malese “orang-utan”, per identificare l’orango, significa “venerabile persona della foresta”.

Presso i Daiaki della Malesia esiste un mito secondo il quale l’orango è un genere arcaico di persona che ha saggiamente nascosto agli uomini di essere in grado di parlare.

Nell’ultimo scorcio del XX secolo abbiamo finalmente maturato una maggiore consapevolezza del nostro posto nel cosmo, indagando la natura dell’universo e l’evoluzione della vita, riconoscendo i diritti umani e animali, affrontando i problemi globali dell’ambiente, intraprendendo infine l’esplorazione dello spazio, con l’idea sottintesa di poter trovare esseri alieni simili a noi.

Siamo ora a un bivio etico, originato dalle straordinarie scoperte sulla nostra stretta parentela genetica con gli scimpanzé e sull’alto grado delle loro abilità intellettive ed emotive.

Tali scoperte ci dicono che la divergenza genetica fra uomini e scimpanzé è talmente esigua che l’assegnazione a generi distinti costituisce una forzatura artificiosa e puramente antropocentrica.

Così, oggi sulla terra non dovrebbe esserci una sola specie appartenente al genere Homo, bensì ce ne dovrebbero essere tre:

l’Homo Troglodytes, lo scimpanzé comune;

l’Homo Paniscus, lo scimpanzé pigmeo,

e il terzo scimpanzè, o se vogliamo lo scimpanzé umano, l’Homo Sapiens.

 

Come potete immaginare, questa nuova classificazione assumerebbe una grandissima rilevanza morale.

Infatti, dovremmo estendere agli scimpanzé i principali diritti della comunità umana e cioè: il diritto alla vita, la protezione della libertà individuale  e la tutela degli interessi personali, salvaguardata ovviamente da tutori umani.

Certo, non possiamo dimenticare che viviamo su un mondo in cui, per almeno tre quarti della popolazione umana, l’affermazione di tali diritti non è più che retorica, per cui l’idea di estendere l’uguaglianza a delle quasi-persone può apparire inaccettabile.

Tuttavia, se condividiamo la classificazione allargata della nostra famiglia, non possiamo che accostare  questi esseri ai membri giovani o intellettualmente disabili della nostra specie, che la nostra società tutela o almeno dichiara di voler tutelare.

Ma proprio quest’ultimo accostamento ci induce a un’ultima domanda ancor più importante e provocatoria :

non beninteso l’anima sensitiva degli animali, ma l’anima intellettiva e immortale come definita da S. Tommaso d’Aquino.

Un’anima forma sostanziale di un corpo in questo caso proto-umano.

La “quasi-persona” diventerebbe allora “persona” a tutti gli effetti, acquisendo una sua concretezza metafisica e diventando così potenzialmente capace di scelte etiche.